Talamo in adolescenza e patogenesi della schizofrenia

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 28 maggio 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE/AGGIORNAMENTO]

 

Gli studi genetici e l’analisi dei difetti morfo-funzionali delle reti cerebrali ha portato a considerare la schizofrenia una patologia neuroevolutiva al pari dei disturbi dello spettro dell’autismo. Ma in questa psicosi dell’adulto è possibile documentare quasi sempre una caratteristica anamnestica opposta, con un’infanzia apparentemente normale nella maggior parte dei casi e una progressiva riduzione delle prestazioni cognitive nell’adolescenza, come nel primo storico caso definito allora di “demenza precoce”, o solo in età adulta, dopo la completa espressione clinica di tutta la sintomatologia. Questa peculiarità ha orientato la ricerca dei processi patogenetici verso l’identificazione delle cause molecolari, cellulari e di reti neuroniche che determinano l’esordio clinico della malattia in età giovanile o matura.

Un elemento comune ai principali disturbi neuroevolutivi e pervasivi dello sviluppo, come quelli dello spettro dell’autismo, è l’alterazione della maturazione della corteccia cerebrale, che è stata pertanto indicata come possibile elemento chiave dell’eziopatogenesi. Una parte della ricerca ha rivolto la sua attenzione allo studio di processi alla base della connettività funzionale tra talamo e corteccia sensoriale del cervello, perché sono quelli maggiormente indagati e conosciuti. Negli insiemi neuronici corticali sensoriali, l’attività dovuta alle connessioni reciproche e rientranti con i nuclei del talamo, durante il periodo sensibile postnatale, si è rivelata essenziale per la fisiologica maturazione di questa regione corticale.

Poiché nella schizofrenia è in questione principalmente la funzione della corteccia prefrontale, si è ipotizzato un difetto di un analogo ruolo del talamo per la maturazione di questa parte del cervello, ma fino ad oggi tale ipotesi non era stata dimostrata. Christoph Kellondonk, Laura Benoit e colleghi, fra i quali figurano Lorenzo Posani e Stefano Fusi, hanno studiato questo problema, giungendo a conclusioni degne di nota.

La recensione di questo studio costituisce anche un’occasione per proporre una sintesi aggiornata di alcuni aspetti rilevanti della psicosi schizofrenica considerata nell’ottica del disturbo neuroevolutivo.

(Benoit L. J., et al., Adolescent thalamic inhibition leads to long-lasting impairments in prefrontal cortex function. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-022-01072-y, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuroscience, Columbia University, Irving Medical Center, New York, NY (USA); Graduate Program in Neurobiology and Behavior; Columbia University, Irving Medical Center, New York, NY (USA); Department of Psychiatry, Columbia University, Irving Medical Center, New York, NY (USA); Division of Developmental Neuroscience, New York State Psychiatric Institute, New York, NY (USA); Center for Theoretical Neuroscience, Columbia University, New York, NY (USA); Zuckerman Mind Brain Behavior Institute, Columbia University, New York, NY (USA); Kavli Institute for Brain Sciences, Columbia University, New York, NY (USA); Division of Systems Neuroscience, New York State Psychiatric Institute, New York, NY (USA); Department of Molecular Pharmacology & Therapeutics, Columbia University, Irving Medical Center, New York, NY (USA); Division of Molecular Therapeutics, New York State Psychiatric Institute, New York, NY (USA).

Per inquadrare nella conoscenza clinica, a partire da alcuni cenni storici, il problema del rapporto tra la neuropatologia e l’emergere delle manifestazioni sintomatologiche, riporto qui di seguito una mia introduzione all’argomento proposta di recente:

“La schizofrenia, che interessa l’1% della popolazione mondiale, costituendo una delle maggiori cause di disabilità mentale, è la più grave delle alterazioni psichiche che accompagnano l’intera vita di un paziente psichiatrico, dall’esordio in età giovanile o all’inizio dell’età adulta fino alla morte, di dieci anni più precoce della media nella popolazione generale. La concettualizzazione di questo disturbo come malattia delle mente si deve al grande nosografista tedesco Emil Kraepelin che, prendendo le mosse dal caso di uno studente brillante diventato inabile per i compiti cognitivi più semplici dopo la comparsa dei sintomi, identificò un piccolo gruppo di pazienti con un simile decorso caratterizzato dalla perdita dell’intelligenza e, per questo elemento che gli parve caratterizzante, propose la definizione diagnostica di demenza praecox.

Era dunque ben presente l’aspetto relativo al limite cognitivo, poi per decenni trascurato, soprattutto per l’influenza delle teorie psicodinamiche sulla genesi del disturbo, che attribuivano a conflitti inconsci lo sviluppo di un funzionamento mentale aberrante e non all’alterazione del fondamento neurobiologico cerebrale, necessario anche per i più elementari processi di estrazione di significato dai messaggi verbali, oltre che per induzione, deduzione, riconoscimento di nessi di causalità e vincoli condizionali.

Lo stesso Eugen Bleuler[1], che introdusse il termine “schizofrenia” per indicare la frequente scissione (schizo-) nello psichismo e, in particolare, la separazione del tono affettivo ed emotivo dalla cognizione espressa nella comunicazione, aveva ben presente il difetto intellettivo che peggiorava col progredire della malattia.

A quell’epoca, l’opinione degli psichiatri era concorde nel ritenere questo quadro psicopatologico la conseguenza di una malattia del cervello con una forte base genetica, e caratterizzata da un processo patologico che si supponeva diffuso nel parenchima cerebrale, con particolare compromissione della corteccia, ritenuta la base dei processi intellettivi. L’unica possibilità esistente a quel tempo di studio del cervello consisteva nell’osservazione necroscopica e nel prelievo autoptico di campioni di tessuto cerebrale, per lo studio istologico.

Gli stessi padri fondatori della neuropatologia, Nissl, Alzheimer e Spielmeyer, condussero ricerche istologiche post-mortem sul cervello di pazienti schizofrenici, descrivendo apparenti alterazioni che si rivelarono incostanti e non caratterizzanti[2]. In particolare, nel 1897 Alzheimer segnalò una scomparsa locale di cellule gangliari negli strati esterni della corteccia cerebrale; Klippel e Lhermitte (1906) descrissero zone di demielinizzazione focale, il cui reale valore di reperto istopatologico fu contestato, molto tempo dopo, da Adolf Meyer e poi da Wolf e Cowen. Anche Buscaino in Italia (1921), capostipite di una famiglia di neurologi illustri, compì studi neuropatologici sulla struttura del cervello schizofrenico, descrivendo formazioni a grappolo, che si rivelarono poi artefatti di preparazione del tessuto. Josephy (1930) descrisse una sclerosi cellulare e una degenerazione grassa degli strati corticali, che non trovarono riscontro in altri studi. Bruetsch, nel 1940, credette addirittura di aver rinvenuto dei focolai reumatici nell’encefalo psicotico; sicuro della bontà e significatività del reperto, postulò un ruolo eziologico per la febbre reumatica.

Nel 1952 Winkelman riscontrò nel cervello schizofrenico una perdita diffusa di neuroni, ma furono sollevati dubbi circa la significatività del reperto che si ritenne potesse essere stato generato dalle procedure istologiche impiegate. Allora, nel 1954, Cécilie e Oskar Vogt[3], per superare questo problema, allestirono uno studio che prevedeva un’accurata indagine seriale degli emisferi cerebrali mediante sezioni sottili dello spessore di 8 μ in uno studio controllato, in cui i reperti istologici dei cervelli dei pazienti erano comparati con identiche sezioni del cervello di persone non affette da psicopatologia e decedute per cause non cerebrali alla stessa età. I Vogt trovarono in tutti i cervelli schizofrenici alterazioni assenti nei cervelli sani, anche se la localizzazione, l’aspetto istologico e la densità variavano da un caso all’altro. I tre reperti principali dei Vogt furono cellule colliquanti (Schwundzellen), degenerazione vacuolare e liposclerosi.

Negli ultimi decenni, dopo oltre cinquanta anni durante i quali la concezione neuropatologica della schizofrenia è stata abbandonata in luogo di teorie eziologiche psicoanalitiche, relazionali e comportamentali, si è tornati su più solide basi, fornite dalle metodiche di neuroimmagine, dalla nuova genetica e dalle scoperte di neurobiologia molecolare e neurochimica, a concepire le psicosi schizofreniche come conseguenza di alterazioni del cervello[4]. Dalle differenze nel metabolismo cerebrale, nell’espressione dei recettori, nelle dinamiche sinaptiche, negli equilibri fra sistemi neuronici, nelle funzioni degli astrociti, fino a quelle emerse dallo studio delle connessioni secondo i metodi del campo specializzato della connettomica, si dispone di un’imponente raccolta di dati che individua le basi cerebrali di una fisiopatologia, che non potrebbe essere spiegata nei termini obsoleti della “reazione maggiore”, contrapposta alla “reazione minore” costituita dai disturbi d’ansia”[5].

In passato, insieme col nostro presidente, ho affrontato il problema allora emergente dell’alterazione della funzione talamica nella schizofrenia[6]/[7].

L’anno scorso, a proposito dell’aver a lungo trascurato in psichiatria i sintomi cognitivi della schizofrenia, che poi hanno indicato importanti vie alla ricerca delle basi neuropatologiche, l’anno scorso scrivevo:

“La cultura che voleva caratterizzare anche la distinzione fra la neurologia, come la branca medica che si occupa di ictus, epilessie, tumori, traumi cerebrali, e così via, e la psichiatria, che si occupa di ansia, fobie, attacchi di panico, depressione e disturbi con deliri e allucinazioni, sollecitava l’attenzione sui sintomi “propriamente psichiatrici” della schizofrenia, perché non si cadesse nell’errore di considerarla una “demenza precoce” come era accaduto nell’Ottocento. Probabilmente, questa enfasi eccessiva ha portato a trascurare per molto tempo la considerazione e lo studio sistematico dell’indebolimento cognitivo”[8].

In realtà, nella clinica psichiatrica del disturbo schizofrenico si distinguono sintomi positivi, quali deliri e allucinazioni, sintomi negativi, come l’anaffettività e il negativismo, e sintomi cognitivi, quali disorganizzazione del pensiero, linguaggio soggettivo o inappropriato, deficit di attenzione e memoria, senza contare le frequenti stereotipie di moto.

Per introdurre alle interpretazioni neuroevolutive dei sintomi della schizofrenia correntemente adottate dagli psichiatri, mi rifaccio a un mio articolo del 20 marzo 2021[9]:

“Due anni fa ho ricordato un modello neuroevolutivo della schizofrenia[10] attualmente oggetto di insegnamento in molte facoltà mediche di tutto il mondo e proposto per la prima volta da Keshavan nel 1999: durante l’embriogenesi noxae evolutive portano alla displasia delle strutture costituenti alcune specifiche reti neuroniche, causando in tal modo i segni premorbosi cognitivi e psicosociali; durante l’adolescenza, un’eccessiva eliminazione di sinapsi determina un’iperattività dopaminergica fasica e precipita la psicosi. Keshavan nota che, dopo la manifestazione clinica della malattia, le alterazioni neurochimiche possono condurre a processi neurodegenerativi.

Il motivo del successo di questo modello è dato dal ‘sostegno’ ricevuto da numerose evidenze sperimentali. In realtà, si tratta di una ricostruzione ragionevole e coerente con i dati dai quali è stata desunta, e nulla esclude che sia corretta; tuttavia rimane troppo generica rispetto all’esigenza di capire perché e come le ‘noxae’ causino una displasia responsabile di quei sintomi precoci e perché si determini una perdita di sinapsi che causa iperfunzione dopaminergica[11][12].

Ritorniamo ora al problema affrontato da Benoit e colleghi:

L’attività sinaptica dei sistemi neuronici del talamo ha uno specifico ruolo nel plasmare la maturazione della corteccia prefrontale?

Assunta la significatività della ricerca di base su modelli murini, in quanto i parametri fin qui studiati nei processi neuroevolutivi sono costanti in tutti i mammiferi, gli autori dello studio hanno deciso di verificare l’effetto dell’inibizione degli assoni che costituiscono i fasci principali della connessione talamica con la corteccia prefrontale. In proposito, ricordiamo che la costanza nella filogenesi di questa disposizione anatomica è tale da aver indotto ad adottare questa connessione per la definizione stessa di corteccia prefrontale: si intende per corteccia prefrontale quella parte della corteccia cerebrale innervata dal nucleo mediodorsale del talamo.

Benoit e colleghi hanno inibito i neuroni dei nuclei mediodorsale e della linea mediana del talamo nei topi, durante un’importante fase di maturazione post-natale dell’encefalo, che coincide con il periodo dell’adolescenza.

L’esperimento ha causato una riduzione di lunga durata temporale della densità delle proiezioni talamo-prefrontali e un’apprezzabile diminuzione del flusso eccitatorio ai neuroni della corteccia prefrontale. L’inibizione in età adolescenziale di questi nuclei talamici causava anche, durante l’età adulta, dei deficit cognitivi dipendenti dal difetto funzionale della corteccia prefrontale, e associati con la perdita (marcata perturbazione) delle cross-correlazioni prefrontali e della codifica dell’esito dei compiti.

La verifica sperimentale mediante la ripetizione nell’età adulta dell’inibizione del nucleo mediodorsale e dei nuclei della linea mediana non ha prodotto alcuna conseguenza di lunga durata.

La stimolazione eccitatoria del talamo nell’età adulta era in grado di recuperare le cross-correlazioni prefrontali, la codifica dell’esito dei compiti e i deficit cognitivi.

Questi esiti sperimentali, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura del testo integrale dello studio originale, indicano chiaramente il periodo dell’adolescenza come una finestra temporale di sensibilità nella maturazione del circuito talamocorticale. Infine, gli autori dello studio osservano che, col supporto dell’attività delle reti prefrontali, la stimolazione dell’attività talamica può costituire una strategia potenziale per il recupero dei deficit cognitivi nei disturbi neuroevolutivi, compresa la schizofrenia.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-28 maggio 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Sulla storia delle origini della diagnosi di schizofrenia e sull’evoluzione del concetto in psicopatologia vi sono numerosi riferimenti negli scritti pubblicati nelle “Note e Notizie”; nella sezione “In Corso” sotto il titolo “La concezione dei disturbi mentali nella storia” si può leggere una cronologia che, in brevissime sintesi concettuali, elenca l’evoluzione che si è avuta nel concetto di malattia mentale dalle prime tracce scritte, risalenti al 3400 a.C., fino ai giorni nostri.

[2] Le nozioni storiche riportate di seguito sono tratte da una relazione del nostro presidente; per le indicazioni bibliografiche complete si veda in Silvano Arieti, Interpretazione della Schizofrenia, in 2 voll., Feltrinelli, Milano 1978.

[3] Ai coniugi Vogt è intitolato un istituto di ricerca nel quale è esposta un’interessante collezione di cervelli. Oskar Vogt divenne celebre per lo studio del cervello di Lenin, nel quale rilevò cellule piramidali giganti della corteccia di dimensioni notevolmente superiori alla media.

[4] Sicuramente una parte non trascurabile in questa evoluzione l’hanno avuta i numerosi istituti di ricerca che hanno dedicato le proprie attività alla ricerca di correlati neurobiologici dei disturbi mentali e le riviste, come Molecular Psychiatry, che hanno consentito la diffusione della conoscenza di risultati che hanno modificato dei punti di vista che resistevano da decenni.

[5] Note e Notizie 16-11-19 Trattamento cognitivo della schizofrenia. Si veda anche: Note e Notizie 07-12-19 Differenze in S100b tra persone affette da schizofrenia.

[6] Note e Notizie 17-03-21 Alterata funzione del talamo nella schizofrenia.

[7] Note e Notizie 03-07-21 Talamo anteriore nei difetti cognitivi di autismo e schizofrenia.

[8] Note e Notizie 27-02-21 Il deficit cognitivo della schizofrenia è legato alla disbindina. Si veda anche lo studio maggiore sui rapporti fra geni associati alla schizofrenia e volume delle aree cerebrali sottocorticali: Note e Notizie 20-02-16 Influenze genetiche su schizofrenia e volume sottocorticale. Per i rapporti con la morfologia si veda anche: Note e Notizie 21-11-15 Nella schizofrenia la normale asimmetria emisferica è ridotta e alterata e Note e Notizie 14-02-15 Segni di schizofrenia che precedono i sintomi per una diagnosi precoce.

[9] Note e Notizie 20-03-21 Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo. Per questa patogenesi si legga il testo integrale dell’articolo.

[10] Note e Notizie 16-02-19 Nella schizofrenia la microglia riduce le sinapsi.

[11] È evidente la costruzione deduttiva da dati e inferenze precedenti. Quando è stato proposto il modello, il campo di studi della fisiopatologia della schizofrenia era ancora dominato dall’ipotesi dell’iperfunzione dopaminergica, desunta dall’azione anti-dopaminergica di fenotiazinici, butirrofenonici e altri neurolettici di prima generazione efficaci nel ridurre deliri e allucinazioni degli schizofrenici. Negli ultimi venti anni si è consolidata l’evidenza della partecipazione di tutti i sistemi trasmettitoriali alla fisiopatologia, con una prevalenza di interesse anche farmacologico per i sistemi neuronici a segnalazione glutammatergica.

[12] Note e Notizie 20-03-21 Patogenesi della schizofrenia da splicing alternativo.